Vive la liberté!

Basilicata, una regione in via di sparizione


(questo articolo è stato inviato al Manifesto il 17 aprile)

Dopo essere stata al centro dell’attenzione nazionale per alcuni giorni a causa del travagliato processo di selezione di un candidato del centro-sinistra – o del “campo largo” che dir si voglia – e delle conseguenti alleanze per sostenerlo, la competizione in Basilicata per le elezioni regionali è tornata nell’oscurità. Dopo le elezioni in Sardegna, la formula del “campo largo” era parsa vincente, per scontrarsi subito con la realtà che non basta trovare una figura che “tiri” e un’alleanza convincente per affermarsi, come l’Abruzzo ha prontamente confermato. Le coalizioni devono rappresentare un processo di convergenza che vive sul terreno, non operazioni di vertice. Lo “scandalo” pugliese, poi, ha di nuovo scompaginato le carte, evidenziando come politiche e strategie – portate avanti dalle persone – devono avere logiche di più ampio respiro e radici profonde nell’elettorato per affermarsi.

Certo, la Basilicata è una regione “piccola” – la terza, dopo Valle d’Aosta e Molise, con 533mila abitanti – ma vanta comunque il più alto Pil pro-capite tra le regioni meridionali (anche se il calcolo è falsato dall’attribuzione del valore aggiunto dell’industria degli idrocarburi, che ha scarse ricadute locali). La dinamica economica recente mostra segni di criticità, con un’industria in difficoltà nei suoi comparti chiave e un settore agricolo che regge, ma solo in alcune aree. Il sindacato, da tempo, lamenta il calo dell’occupazione, la disoccupazione crescente e l’assenza di investimenti, chiedendo la fine di interventi “a pioggia” e un piano di sviluppo strategico, con la necessità di riorganizzazione il sistema di governance regionale, divenuto negli anni ridondante, con una pletora di società partecipate ed Enti pubblici che finiscono per dissipare risorse senza favorire lo sviluppo.

Il disagio sociale e le magre prospettive, peraltro, si riflettono anche nella demografia. La regione, che nel 1961 aveva 644mila abitanti, ne ha persi 47mila in quarant’anni e più di 60mila negli ultimi venti, un’emorragia. Dei suoi 131 comuni, solo undici hanno più di 10mila residenti e sono quelli delle aree interne che negli anni si sono desertificati, riducendosi a piccoli borghi. L’emigrazione affligge di nuovo la realtà lucana, proprio come un tempo, cui si aggiunge la bassa natalità, un inverno demografico come e più che nel resto d’Italia.

Una regione che detiene il 30% delle risorse acquifere italiane e che era agricola, vede oggi i suoi terreni boschivi – quel “lucus a non lucendo” leviano – i calanchi e le ampie distese di campi per lo più incolti e abbandonati, se non per quelle ristrette zone dove l’agricoltura intensiva ha trovato sviluppo. Certo, la “civiltà contadina” di cui avevano scorto lo straordinario potenziale Carlo Levi ed Ernesto De Martino si è dissolta con l’incedere dell’industrializzazione italiana – che favorì il prosciugamento del Meridione a favore del Nord Italia – senza riuscire ad evolversi. Ma la regione di Rocco Scotellaro, il sindaco «poeta della libertà contadina», se è cambiata nella sua composizione demografica ed economica, non ha perso talune sue peculiarità ataviche. Oggi non sono i contadini ad opporsi ai “luigini” di Carlo Levi, quelli che, come gattopardi, sono disposti a che tutto cambi perché non cambi nulla, ma i figli passivi dell’economia assistita. I cui comportamenti si riflettono nella politica locale.

In regione, dopo decenni in cui a governare era stato il centro-sinistra, forte di una base in origine operaia e sindacalizzata e poi radicatosi nell’assistenzialismo post-Cassa del Mezzogiorno, il centro-destra ha preso il timone nell’ultima tornata, suo malgrado, cambiando però poco nella direzione delle politiche e nella governance. Alle elezioni regionali del 2000 il centro-sinistra si era affermato con 243mila voti, che ha progressivamente perso. E alle ultime regionali, nel 2019, il centro-destra si era affermato con appena 125mila voti (e un’affluenza al 53.5%). Con i 5 Stelle emersi sulla scena con un quarto dei consensi e una sinistra ancillare, la politica si è così frastagliata, senza più una chiara direzione di marcia e un progetto di sviluppo.

La regione va così alle elezioni il 20 e 21 aprile potendo scegliere tra due coalizioni simili nei contenuti e nelle promesse, potendo contare solo sulle preferenze personali e le figure ora emergenti. Nessun obiettivo “strategico”, nessun “progetto”: come ai tempi di Rocco, la politica fa e disfa, senza troppo curarsi del suo popolo che ne resta lontano.


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