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L’Ucraina, la Russia e l’Europa. Quale economia c’è dietro


L’Ucraina

Prima dell’invasione russa, l’economia ucraina aveva visto un lieve miglioramento, restando comunque nel novero dei paesi più poveri, seconda solo all’Armenia, tra quelli dell’area sub-caucasica, con un Pil pro-capite di 4.100 euro nel 2021 (giusto per dare un’idea, la Bulgaria, il paese UE più povero, aveva un reddito pari a 10.330 euro, mentre la media dell’area Euro era di 36.190 euro). La crescita economica, però, era stata di corto respiro. Dal crollo dell’Unione Sovietica, l’Ucraina non è mai stata in grado di tornare ai livelli di un tempo. In termini reali, infatti, il Pil (calcolato a prezzi costanti del 2015) è precipitato dai 172,4 miliardi di dollari del 1989 ai 66 miliardi del 1999 (un terzo del valore iniziale), portandosi ai 120 miliardi del 2008, un livello che, negli anni successivi non è più stata capace di raggiungere (nel 2021 era ancora pari a 101 miliardi). Il Pil pro capite era di 3.300 dollari nel 1989, di appena 1.317 dollari nel 1998 e di 2.599 dollari nel 2008, il valore più alto dai tempi dell’indipendenza nel 1991.

Dopo vent’anni, peraltro, l’economia del paese non era cambiata di molto: poco più di un decimo del Pil viene dal settore primario (in leggero aumento), poco meno del 30% da industria e costruzioni. Con un saldo negativo della bilancia dei pagamenti – pari al 6% del Pil nel 2011, in riduzione all’1.7% nel 2021 – dopo il 2014 le sue esportazioni verso la Russia erano crollate, e così il Pil (anche per via della perdita della Crimea e delle due regioni separatiste del Donbas) mentre il rapporto tra debito statale e Pil si è mantenuto alto (oltre il 50%), anche se in calo negli ultimi anni. Gli investimenti diretti esteri, invece, sono stati considerevoli nel periodo 2011-21 (per un totale di 37.1 miliardi di dollari) raggiungendo nel 2021 il 3.3% del Pil.

L’invasione russa e la guerra hanno ovviamente avuto un impatto negativo sull’economia ucraina, segnando un crollo del Pil del 30% nel 2022, ma già nel 2023 vi è stata una ripresa, che si dovrebbe consolidare nel 2024, anche se i livelli pre-guerra rimangono lontanissimi. Nel 2021 il Pil a prezzi correnti era stato di 200 miliardi di dollari (quello polacco, ad esempio, era più di tre volte tanto). Se la guerra si fermasse oggi, è stato stimato, la ricostruzione costerebbe 486 miliardi nei prossimi dieci anni (più di due anni di Pil): il danno effettivo stimato alle infrastrutture è di 152 miliardi (tre quarti del Pil di un anno) mentre il danno indiretto è valutato nell’ordine dei 500 miliardi.

Oltre al costo umano della guerra – in morti e feriti – il conflitto ha portato 6.4 milioni di persone a emigrare, mentre 3.7 milioni hanno dovuto lasciare le proprie case restando nel Paese: nel complesso, il 23% della popolazione prima dell’invasione. Una perdita gravissima, considerando che gran parte degli espatriati sono persone in età lavorativa o giovani.

I rapporti tra Ucraina e UE sono sempre stati buoni, anche se l’integrazione tra le loro economie è ancora minima. L’import europeo dall’Ucraina, calato tra il 2014 e il 2016, era tornato a crescere già nel 2021, raggiungendo i 27.6 milioni di euro nel 2022 (il doppio del 2012). L’export europeo, crollato nei tre anni 2014-16, è anch’esso aumentato, toccando i 30 milioni di euro nel 2022. Grande parte degli scambi tra Ucraina e UE, però, sono con i paesi limitrofi: tanto l’import che l’export con l’Ucraina hanno buone quote per Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria. La composizione merceologica dell’interscambio è interessante: mentre il saldo è negativo per prodotti agricoli (2.8 milioni di euro di import nel 2021) e materie prime, esso è positivo per macchinari e veicoli (10 milioni di euro di export nel 2021), energia (2.7 milioni di export), prodotti chimici (5.6 milioni di euro) e altri manufatti (6.2 milioni di export contro 8.6 di import).

Dopo l’invasione russa, le stesse tendenze sono proseguite: è aumentato l’export europeo ed è diminuito l’import, dopo un picco nel quarto trimestre 2022. Il saldo è oggi in favore dell’UE per 4.5 miliardi di euro. Nel quarto trimestre 2023, l’import europeo di olio di semi di girasole dall’Ucraina ha coperto quasi il 90% del totale importato dalla UE, quello di mais il 62%, quello di olio di colza il 30% come quello di olio di semi di soia (33%). L’export europeo, nel quarto trimestre 2023, per i principali gruppi di beni, in euro, ha raggiunto 1 miliardo in macchinari, 1.1 in veicoli, 1.8 miliardi in combustibili (principalmente petrolio), 1 miliardo di macchinari elettrici e 363 milioni in plastiche.

Nel 2022 l’Ucraina aveva accumulato un surplus della bilancia dei pagamenti di 8 miliardi, grazie all’enorme flusso di aiuti internazionali. Ma il deficit della bilancia commerciale è andato aggravandosi. La contrazione dell’export, aggravata dall’aumento dell’import, soprattutto di energia (anche in ragione dei bombardamenti russi) ha portato, alla fine del 2023, ad un deficit commerciale cumulato di 40 miliardi di dollari. Le materie prime metallifere, oltre a quelle agricole, erano la principale voce fino al 2021 (il 23% dell’export totale ucraino). Oggi, quella voce si è ridotta ad un quarto (da 16 a 4 miliardi di dollari) – la produzione di metalli è concentrata nelle zone oggi coinvolte nel conflitto – ma si è anche ridotta l’esportazione di cereali (da 12 a 8 miliardi) e di prodotti minerali (da 8 a 2 miliardi), di macchinari elettrici e di olii di semi. A fronte di ciò, il flusso di aiuti internazionali è rallentato, ed è quantomeno stagnante. Il quadro per l’economia ucraina, quindi, non è molto roseo in prospettiva.

La Russia

Ben diverso è il discorso per quanto riguarda la Russia e i suoi rapporti con l’Unione Europea. Il Pil russo, che nel 1989 era stimato in 1.200 miliardi di dollari (a prezzo costanti del 2025), aveva avuto un crollo fino ai 666.8 miliardi del 1998, per aumentare costantemente fino ai 1.230 miliardi del 2008, subire un calo l’anno successivo e proseguire poi la corsa fino ai 1.390 miliardi del 2014, rallentare e poi salire di nuovo, fino ai 1.500 miliardi del 2021, corrispondenti a un Pil pro capite di 10.251 dollari. Dopo l’invasione dell’Ucraina, contrariamente alle attese e nonostante le sanzioni economiche occidentali, il Pil russo, dopo una contrazione dell’1.2% nel 2022 (in termini reali), ha continuato a crescere 2023, segnando un incremento del 3.6%. L’aumento è stato certo dovuto alla spinta alla produzione di armi e munizioni per la guerra in Ucraina (+7% per la manifattura), ma anche al commercio (+7.3%, trasporti (3.2%), ospitalità e turismo (10%), comunicazioni (10%), servizi finanziari (8.6%). I consumi interni sono aumentati (6.1%) così come gli investimenti (10.5%) e la spesa pubblica (3.6%, contro il 3% dell’anno prima). Tra le voci in aumento, va senz’altro segnalato l’incremento segnato dalla spesa militare, che ne 2022 è schizzata a 86 miliardi di dollari (fonte SIPRI), quanto era stata nel 2014 (inferiore di poco al massimo del 2013 di 88 miliardi), molto maggiore di quella del 2020 (61.7 miliardi) e del 2021 (65.9 miliardi). Insomma, l’economia russa sta “bene” e pare non aver sofferto troppo le sanzioni europee.

Se guardiamo all’interscambio con l’UE, vediamo che tanto le importazioni che le esportazioni europee erano andate diminuendo tra il 2012 e il 2021, le prime da 203.6 a 163.6 milioni di euro (con un calo nel 2020 del Covid-19), le seconde da 117.9 a 89.2 milioni. Peraltro, mentre l’import sembrava tornare a crescere, dal febbraio 2022 ha iniziato lentamente a calare. L’import europeo dalla Russia, nel corso del 2023, è stato sempre inferiore ai 5 milioni di euro, mentre l’export si è ridotto quasi a zero. Le importazioni dalla Russia in UE, che nel febbraio 2022 rappresentavano ancora più del 9% del valore dell’insieme dell’import in Europa, sono ora scese a poco meno del 2%, mentre l’export è passato dal 4% all’1.5%. Sull’import europeo totale per ogni categoria di bene, il nickel russo rappresenta ancora il 24% (era il 49%), il gas naturale russo il 13% (era il 33%), i fertilizzanti russi il 25% (erano il 32%), l’acciaio il 6% e il petrolio il 3% (era il 27%). Nel gas, sono gli USA oggi il nostro maggiore fornitore (22%), assieme alla Norvegia (21%) e all’Algeria (16%). Nel petrolio, USA e Norvegia sono oggi i principali fornitori, dopo i paesi arabi. Tra i prodotti esportati dalla UE in Russia, farmaceutici e macchinari rappresentano ancora voci consistenti (2.1miliardi e 888 milioni di euro, rispettivamente). La Russia è ancora un partner significativo nell’export di alberi e piante (6.5%), olii (5.7%), cacao e cioccolata (7.5%), caffè (6.2%) e vestiario (4.2%).

Le esportazioni russe totali, verso tutti i paesi, invece, hanno continuato a crescere nel 2022, confermando la ripresa del 2021 (la Russia ha tutt’oggi un notevole surplus commerciale), calando un poco nel 2023 e altrettanto hanno fatto le importazioni. La guerra in Ucraina, quindi, non sembra aver affetto l’economia russa più di tanto. Ci sono indicatori che segnalano varie debolezze, il tasso di cambio, divenuto molto più instabile che in passato, l’uscita di capitali, l’esclusione dai mercati finanziari internazionali, le limitate riserve liquide. Il debito estero russo, che era andato continuamente crescendo dal 2001, raggiungendo un massimo nel 2014 di 732.8 miliardi di dollari, ha continuato a diminuire, dopo alcuni anni di stasi tra il 2019 e il 2022 attorno ai 470 miliardi ed è ora al livello di 316 miliardi. Gli investimenti diretti esteri netti, dopo alcune impennate negli anni scorsi (fino ai +162 miliardi del secondo trimestre 2022), hanno visto un crollo nel terzo trimestre 2022 (-126 miliardi) e sono assestati a -43miliardi nel terzo trimestre 2023.

Il problema principale sta nel flusso verso l’estero di capitali che ha sempre contraddistinto l’economia russa ma che negli ultimi tempi è divenuto davvero massiccio. Poi certo, ci sono le sanzioni e i loro effetti, di cui abbiamo già parlato, e le prospettive macroeconomiche e politiche, di cui si dovrà riparlare.


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