Vive la liberté!

Dov’è finito il «modello Bologna»?


3 Agosto 2022

Non è passato neppure un anno e già ci sembra un secolo, quando il risultato delle elezioni amministrative della città aveva fatto sostenere a molti l’efficacia del «modello Bologna». Un Pd capace di mantenere il suo «zoccolo duro», recuperare al centro elettori di Italia viva, grazie all’aggancio di Isabella Conti, e di mettere insieme i 5 Stelle, cooptando Massimo Bugani, e parte della sinistra, cooptando Coalizione civica, con un di più di «civismo» rappresentato dalle «sardine» di Mattia Santori.

Le vicende nazionali di queste ore ci fanno capire quanto poco lontano sia andato quel modello, non riuscendo a scendere fino a Roma. Pur sapendo che il tutto non è la somma delle parti – soprattutto in politica – Carlo Calenda ha messo Enrico Letta con le spalle al muro, buttando giù dal tram del centro-sinistra i miti Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, con un «o noi o loro» (o meglio: «Renzi sì, ma loro no, perché erano contro Draghi»). Sarà pure che chi voleva votare Forza Italia ora guarderà a Calenda per non andare con Giorgia Meloni (ma davvero?), quanti invece da sinistra avrebbero magari votato Letta per far passare Sinistra italiana o i Verdi ora guarderanno decisamente da un’altra parte – magari Conte o DeMagistris – vanificando gli sforzi del professeur sorboniano?

Il fatto, però, è che il «modello Bologna» era già finito qui prima ancora di poter essere emulato a Roma. La componente civica si è spenta per autocombustione. Dopo più di una «papera», il vagito finale contro il Pd è stato «siete come la Lega». Le sardine, più che mai inscatolate, paiono destinate ad andare a male. I 5 Stelle, già dispersi lungo il percorso per cause proprie, si sono auto-cancellati, con un Bugani che in un impeto di radicalismo annuncia di passare al gruppo di Bersani. Il che, se può fare onore alla coerenza del buon vecchio compagno Pier Luigi, testimonia di che pasta erano fatti i propositi dei «grillini». La sinistra di Coalizione civica – che fino alle elezioni almeno presidiava il territorio, facendo sponda a movimenti e istanze – si è ritirata a palazzo, dove troneggia la vice-sindaca «più di sinistra d’Italia», mentre là fuori regna il silenzio. Il Pd, più arroccato che mai, non dà udienza, con una nuova dirigenza che pare proprio figlia della precedente, controllando territori e apparati. Peraltro, fintantoché i voti continuano ad arrivare – non crescono, ma non calano – di che preoccuparsi? Calano i votanti, se ne vanno i delusi, le percentuali crescono. Va bene così, no?

Il sindaco e la sua giunta magra – incarichi tanti, assessori pochi – controlla che tutto fili liscio, senza infamia e senza lodi, celebrando i riti cittadini (2 agosto) e proponendo atti simbolici (ius soli). La cittadella è ben difesa, che poi se la città dorme, bisogna farsene una ragione. Bologna poteva essere un esempio sui trasporti – a emissioni nulle, oppure a costo ridottissimo per disincentivare il trasporto privato – come sul consumo di suolo – che continua ad aumentare, nonostante i proclami – come sul rapporto pubblico-privato e su tanti altri capitoli. Arte fiera è un’impresa a perdere? Foraggiamola! La fiera di Bologna in cerca d’identità? Che si faccia le ossa! Fico, il bruco-mela del people mover, il passante? Ora cominceranno i cantieri e ne avremo per anni, aumenteranno gas di scarico e congestionamenti, alla faccia della transizione ecologica.

Il fatto è che la città dorme, non «sazia», com’ebbe a dire l’incauto vescovo, ma rassegnata nella sua molto relativa opulenza (e forse, in un mondo che va a catafascio, non è poco). Una città che non produce cultura, in cui le istituzioni sono chiuse nei loro confini, ponti levatoi alzati. L’università in primis: un nuovo direttore generale che non conosce la città, tutto management ed efficienza; un rettore che pensa solo all’Alma Mater nella torre eburnea, mentre la città fuori s’arricchisce con gli studenti e ne soffre la presenza. Ma dipartimenti e istituti si guardano bene dal dialogare con la città e diffondere conoscenza. Gli istituti culturali? L’Istituto Cattaneo è tornato a fare quello che faceva e tant’è; l’Istituto Gramsci pure, guardando al Pci; l’Istituto Parri fa un pochino di tutto e niente (tutto è storia). Librerie e biblioteche guardano alla cassa e a ciò che «tira», figuriamoci proporre autori «diversi» e non di cassetta. La cineteca fa il suo lavoro, non discutendo più i suoi moduli rodati. E il giornale Repubblica, una volta all’anno, ci porta le sue «idee», tanto originali quanto ovvie, parlando naturalmente di «giovani» e di «futuro». Peccato che anche Mauro Felicori si sia perduto, e con lui la magna Regione. Cosicché tutto ciò che è nuovo, in città, viene dai singoli, da esperienze sotterranee, poco riconosciute e premiate. E le uniche voci riconoscibili in città sono quelle del buon cardinale, di Roberto Morgantini, di Alessandro Bergonzoni e di… Gianni Morandi (e tanti, fortunatamente, meno visibili).

Non stupiamoci dunque se il «modello Bologna» non ha fatto presa perché anche qui da noi, in fondo, era stato una nuvola di fumo, come alcuni avevano paventato. Non c‘è opposizione, non c’è critica, perché forse il vero «modello Bologna» è il conformismo. Perché una città che riesce a vivere con le sue disuguaglianze nascoste sotto il tappeto del progressismo, in fondo, va bene così.

Pubblicato su Cantiere Bologna, 4 Agosto 2022